18/05/11

"La Repubblica" intervista Lady Gaga

È notte fonda, GaGa è reduce da un’apparizione televisiva in pieno Cannes Film Festival, una rara sortita europea prima dell’uscita di Born this way, il terzo album (nei negozi da lunedì 23 maggio, un milione di copie prenotate su iTunes in soli cinque giorni). Che sia la nuova Madonna o un pastiche di Queen e glam rock, a 25 anni Stefani Joanne Angelina Germanotta è l’asso pigliatutto del pop: 15 milioni di album, 51 milioni di singoli venduti e un tour mastodontico che ha radunato fino a 70mila paganti a sera l’hanno trasformata in due anni – parola di Forbes – in una delle 100 donne più potenti d’America.
“Sono sicciliana, di Palemmo”, esordisce improvvisando uno sguardo mafioso.
La sua italianità è ostentata anche nel brano Americano, un tormentone che inizia sulle note di Mambo italiano e finisce in una disco dance che punta in basso, alla comunicazione veloce. Sarà perché abbiamo la coda di paglia, ma anche Government hooker (come tradurlo se non “******a di regime”?) pare ispirata alle “olgettine”.

“Molti italiani che conosco hanno trovato analogie tra le vicende del vostro presidente del Consiglio e la canzone. Ma non è un segreto che il “bunga bunga” sia sempre stato in voga nei palazzi del potere”, spiega. “Io però ho voluto guardare la cosa dal punto di vista delle donne che lo fanno, e la capacità che hanno (o avrebbero) di scippare un po’ di potere agli uomini che le pagano. E m’intriga anche il fatto che una prostituta possa diventare confidente di uomini politici che con lei condividono segreti di Stato. Dietro un grande uomo c’è sempre una
grande donna… o forse una grande ******a”.
Le capita mai, in giorni di gloria come questo, di ripensare ai vecchi tempi, quando era un’aspirante al circo del pop nel Lower East Side di Manhattan, in una scena underground e un po’ folle?
“Ci penso ogni giorno, ogni istante. All’epoca ero preda di una strana, indefinibile smania. Sentivo che sarei diventata una performer. Non mi sono mai posto un traguardo, volevo tenacemente andare avanti, continuare a credere, a far musica, a esibirmi. E dopotutto un traguardo non ce l’ho ancora”.
Ha affrontato giovanissima le insidie che il mondo dello spettacolo riserva ad aspiranti ed esordienti…
“… Intende la delusione cocente del rifiuto? Quella che fa demordere i più? Questo, mio caro, è un posto dove non è possibile approdare senza la necessaria perseveranza”.
Il talento non è una dote sufficiente?
“Nel mondo del pop è solo un ingrediente. Il performer deve anche essere spavaldo, e allo stesso tempo inafferrabile; non deve permettere al pubblico d’imprigionarlo in un cliché. Per me, la cosa più importante è sempre stata quella di liberare quanta più gente possibile, partendo da me stessa naturalmente; di rendere i miei fan consapevoli del fatto che ognuno di noi è portatore di un tipo di bellezza, che tutti sono in grado di far emergere la propria personalità, la propria identità. Questo era il messaggio di The fame, il disco da cui tutto è cominciato”.
Era convinta fin da piccola di voler fare la cantante, o il mondo del cinema e del teatro l’attraevano in uguale misura?
“Ho sempre avuto una fissa per il palcoscenico e per tutto quello che avviene lì sopra. All’inizio sapevo soltanto suonare il piano, quel che avevo imparato da bambina. Bach, Beethoven, Chopin e Mozart, quello era il mio universo. Avevo tredici anni quando il mio maestro mi disse, perché non provi a scrivere qualche canzone? Da quel momento non ho mai smesso, è diventato irrinunciabile. Una droga. Non potrei più vivere senza inventare melodie”.
Ora che è diventata una diva globale, che ha potere e ricchezza, ha dovuto rinunciare a qualcosa della sua primitiva libertà di artista?
“Non è solo una questione di soldi, e il potere il più delle volte mal si coniuga con l’arte. Quel che cambia è il peso delle responsabilità che cresce di giorno in giorno. Devo rendere conto ai miei fan, all’industria, all’enorme team che lavora per me, ho obblighi, finanziari e morali, verso molta altra gente. Per non sbagliare e non deludere devo dare il massimo, l’autenticità della mia personalità artistica deve essere a prova di bomba. L’unico potere tangibile per me – non passo le giornate a controllare il mio conto in banca – è quello della canzone pop. Il fatto che una semplice melodia sia capace di scuotere il mondo intero”.
Quando si è resa conto che GaGa era pronta a prendere il posto di Stefani di fronte a un pubblico?
“Fu una liberazione, un sollievo incredibile, quando i miei amici cominciarono a chiamarmi GaGa e pian piano cominciai a calarmi nel ruolo teatrale del mio personaggio. Avevo da poco compiuto diciotto anni. Subito dopo ho cominciato a vivere in bilico tra il mondo reale e la fantasia, tra Stefani e GaGa. Da quel momento la domanda dei giornalisti che mi è diventata più odiosa è: ma lei ci è o ci fa? Perché danno per scontato che se una persona ha qualcosa di magico o fantastico deve per forza essere falsa. Io sono la prova vivente del contrario: stabilisco con i miei fan un rapporto di miracolosa sintonia che dà vita a fantasie sfrenate; tutto questo è assolutamente reale”.
Come reagirono i suoi genitori quando si resero conto che le stravaganze rock di un’adolescente stavano alimentando una professione che notoriamente terrorizza le famiglie?
“Mio padre era preoccupatissimo. Già da prima, da quando avevo un boyfriend metallaro e mi ero calata qualche pasticca. Come dargli torto? Ero ancora minorenne e ballavo in bikini sul bancone di un bar. Non dimentichiamo che è italiano, siciliano”.
Il mondo dello spettacolo è davvero un oceano infestato da squali?
“Tanto per darle un’idea, le dico quali sono stati fin dall’inizio i miei punti fermi e i miei più preziosi alleati. 1) gli avvocati di mio padre 2) la Rolls-Royce che ho comprato ai miei genitori per il loro anniversario 3) il palcoscenico. Io spendo solo per avere queste certezze, non mi sono ancora comprata una casa, un’automobile per me (non ho neanche la patente, quando guido lo faccio illegalmente). Investo tutto nel mio spettacolo, sulle mie idee. Poco più di un mese fa ho pianto come una pazza quando a Città del Messico ho visto quell’oceano di gente davanti a me. Tutto quello che volevo dalla vita, per cui avevo lavorato e sudato, nei localacci e in solitudine, era lì davanti a me. Ecco a cosa servono i soldi: a tener lontani gli squali, a nutrire le certezze (la famiglia) e ad alimentare i sogni”.
Stando a quel che racconta nel suo ultimo album, fin dal titolo (“Nata così”), questa popolarità non la aliena affatto, le permette anzi di essere se stessa.
“Il mio motto è: “Liberazione attraverso la trasformazione”. Premesso che io non ho ancora finito di conoscermi, la vera sfida di un performer è quella di diventare una versione sempre più grandiosa di se stesso. Sono ricca ma non ho smesso di fare i compiti a casa. Fino a un attimo fa ho rivisto con i miei collaboratori la perfomance tv di stasera. L’abbiamo studiata, vivisezionata, perché ne ho un’altra subito dopo a Londra e dobbiamo fare meglio. Credo sia proprio questo tipo d’impegno che separi quelli che hanno un hit e poi scompaiono da coloro che invece diventano artisti longevi. In una vita si può rinascere mille volte, non sono nata regina del pop, ma nel mio destino c’era scritto il cambiamento”.
Il successo improvviso l’ha spiazzata?
“Ah no, per niente. Un artista che si fa cambiare dalla popolarità parte già col piede sbagliato. Se ti misuri con il tuo pubblico invece che con i tabloid, l’industria, il marketing, resti quel che sei. Quando il mondo s’identifica con la tua personalità e con le tue canzoni non hai il diritto di ingannarlo mostrando un lato di te che non è reale”.
Tre album campioni di vendita in meno di tre anni, un tour impegnativo, un’attenzione esagerata ai costumi di scena, alla realizzazione dei videoclip, all’immagine, al marketing. Come ce la fa a restare in equilibrio tra mille impegni?
“Per me, che sono una squilibrata di natura, questo non è mai stato un problema. Quel che devo fare è solo mantenere intatto il mio squilibrio. Se sono in difficoltà prego mio nonno Giuseppe Germanotta. Ecco, questo è l’anello della sua prima comunione, lo porto sempre al dito. Sono molto italiana in questo. La mia famiglia è tutta profondamente, comicamente italiana. Anche nel rapporto con la religione”.
Un concetto che ha fatto tremare chi l’ha attaccata per aver citato Giuda e Gesù in una canzone e in un video.
“Secondo me li disturba il personaggio di Giuda, che a un cristiano incute paura. Non è detto che solo i preti e le suore abbiano il diritto di esprimere un’opinione sui Vangeli. L’artista ha il pieno diritto di usare simbolismi religiosi per convogliare un messaggio. Il mio video parla di perdono, proprio come Gesù perdonò Giuda che, come sapeva in anticipo, l’avrebbe tradito. Mi pare strano che la Chiesa si sia sentita offesa da questo concetto. Tanti giovani, me compresa, sono considerati traditori della società, blasfemi, proprio perché predicano contro la sopraffazione di un popolo su un altro, contro i pregiudizi razziali, contro la limitazione delle libertà personali”.
È vero che da adolescente era una metallara?
“Lo sono ancora, ci sono echi di heavy metal anche in questo cd. Adoravo i Black Sabbath e gli Iron Maiden”.
Come s’immagina tra dieci anni?
“Il mio sogno è di continuare a… sognare. Nel mondo dell’arte. Mi piacerebbe essere ricordata come un’artista innovativa, coraggiosa, spavalda. Oddio, una paura ce l’ho. Restare senza la mia famiglia”.
Il segretario si affaccia alla porta. Dice che è ora di andare in aeroporto, sono in ritardo di due ore. Per congedarsi GaGa stampa le labbra rosse sul bloc notes. Ma non c’è pericolo che perda il volo. I jet privati aspettano.

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